Le opere degli studenti dell’Accademia di Brera per «combattere la violenza cieca e irrazionale» nei confronti delle donne. Che è un problema anche degli uomini.

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“No identity” di Gaia Amorello, ispirata alla novella del Decameron sull’amore non corrisposto del nobile Nastagio degli Onesti.

Ogni due giorni una donna viene uccisa dal compagno o ex-compagno; due al giorno finiscono all’ospedale con lesioni più o meno gravi; e un quarto di tutti gli omicidi avvenuti in Italia nell’ultimo anno rientrano in questa aberrante categoria: il femminicidio.

I numeri, insomma, parlano chiaro: la violenza contro le donne è emergenza assoluta nel nostro Paese, come naturalmente anche altrove, dal Messico all’India passando per diversi Stati europei fra cui la Spagna. Emergenza non solo giuridica e di ordine pubblico, ma civile, sociale, culturale. Ma l’arte cosa c’entra? «C’entra, anzi può fare moltissimo»: ne è convinta Carmela Sanguedolce, imprenditrice, mecenate e promotrice dell’associazione culturale Luna Rosa che, insieme all’Accademia di Brera, ha dato vita alla mostra e concorso fotografico XXV ORA! Immagini contro il Femminicidio, curata da Paola di Bello e Martina Corgnati, in apertura il 22 maggio presso l’ex-chiesa di San Carpoforo in via Formentini a Milano (fino al 15 giugno, ingresso libero).

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“Ammazzarsi” di Margherita Toso rappresenta vittima e carnefice nella stessa fotografia.

Ventuno studenti della più prestigiosa accademia d’Italia sono stati selezionati per questa esposizione tra un centinaio di candidati che hanno presentato il loro progetto. E la sera del vernissage verranno annunciati i tre vincitori, le cui opere diventeranno «portabandiera» di un ideale: «Combattere la violenza cieca, irrazionale, prodotto di una condizione morbosa, con la fantasia e l’intelligenza dei giovani», spiega Carmela Sanguedolce. Proprio quei giovani fra cui si trovano più spesso le vittime, e anche i carnefici, di questo orribile crimine: «Sono contenta che fra i partecipanti al concorso ci siano anche parecchi ragazzi» conclude Sanguedolce, «la violenza contro le donne è un problema degli uomini. Un cambiamento della sensibilità maschile è l’unico vero antidoto a questa terribile malattia sociale».

Le opere in mostra non ricorrono quasi mai alla retorica dell’orrore ma esprimono punti di vista fortemente originali, delicati e pieni di sensibilità, “al femminile” ma non solo: Margherita Toso per esempio racchiude vittima e carnefice nella stessa figura, dalla personalità duplice, sottolineando così come spesso all’origine del male ci sia una malsana simbiosi, che incatena invece di liberare. Affascinante l’esito delle deformazioni prodotte sul corpo femminile dall’iraniana Helia Rezaei Hagh, metafora di un’aggressione che non lascia intatto nulla, nemmeno l’immagine; invece Gaia Maria Amorello nel suo No identity si ricorda di Nastagio degli Onesti narrato da Boccaccio e delle feroci illustrazioni che Botticelli aveva lasciato di questa novella.

Dopo la tappa milanese, la mostra è attesa a Firenze, Roma e Crotone, dove l’associazione Luna Rosa ha sede.

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L’opera di Helia Rezaei Hagh è la metafora di un’aggressione che non lascia intatto nulla, nemmeno l’immagine.

Fonte Articolo: https://style.corriere.it/mostre-e-arte/artisti-in-campo-contro-i-femminicidi/?refresh_ce-cp